venerdì, aprile 13, 2007

Q4

Giornalismo multiculturale
LE PAROLE CHE FANNO MALE

Prosegue la collaborazione al giornale della redazione multiculturale che si è costituita, al termine di un interessante percorso formativo, presso il centro ‘Stazione di Confine’.

Extracomunitario’ significa ‘non appartenente alla comunità europea’ e quindi solo i cittadini dei 25 paesi della comunità europea si possono chiamare ‘comunitari’. Al resto del pianeta tocca la qualifica di ‘non comunitari’ o ‘extracomunitari’. La domanda è: perché chiamare solo alcuni “extracomunitari” e tutti gli altri identificarli con il nome del paese di origine? E’ possibile che l’utilizzo di questa strategia del linguaggio faccia aumentare gli ascolti e le vendite? Potrebbe essere una caccia alle notizie come nei recenti fatti di cronaca puntando il dito su chi, per sua sfortuna, appartiene appunto a quei paesi i cui cittadini vengono chiamati ‘extracomunitari’? Non so quale è la risposta giusta, ma so soltanto che esiste un’etica del linguaggio che impone di scegliere ed usare le parole uguali per tutti. Dare un peso alle parole che pronunciamo, essere consapevoli del fatto che sono proprio le parole la porta principale della conoscenza dell’altro, può aiutarci a non commettere l’errore di usare le parole che possono essere la causa per allontanare le persone. Bisogna saper fare un uso moderato del linguaggio e valutare quanto può pesare o ferire la sensibilità altrui. Il lessico identifica l’individuo ed è un parametro, quasi lo specchio, di quale educazione abbiamo ricevuto. Le parole posseggono una grande forza e diventano un macigno quando sono usate a sproposito soprattutto da coloro che rivestono incarichi istituzionali perché potrebbero essere interpretate come incitamento alla xenofobia.
Cosa possiamo fare noi invece, intendo noi come ‘cittadini stranieri’, per far cambiare le cose ed essere il punto di partenza di un pensiero che sia positivo ed innovativo, che aiuti a costruire nuovi codici di convivenza civile? Le parole possono dividere o avvicinare le persone, le comunità e tante volte riescono a far cambiare punto di vista, anche quello che fino al giorno prima sembrava irremovibile.
Servono degli spazi d’incontro, dove il ‘diverso’ venga riconosciuto nella sua pari dignità di essere umano, dove ci sia un confronto reale tra i ‘diversi’, dove sia possibile far nascere un sentimento in comune, una sottile e solida sintonia...

Per la redazione multiculturale “Citizen Journalism” Ghissu, Lejda, Kassamba

Se volete conoscere i nostri materiali o entrare in contatto con noi ecco come fare.
Redazione multiculturale “Citizen Journalism”
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http://www.giornalismogittadino.blogspot.com/ E-Mail citizenjournalism@yahoo.it
Febbraio 2007




Giornalismo multiculturale

‘STRANIERO’: ECCO COME UNA PAROLA
PUO’ FAR MALE


La redazione multiculturale, che si è costituita presso il centro ‘Stazione di Confine’, prosegue il suo viaggio-inchiesta attraverso le parole e le profonde ferite che con esse si possono infliggere.


UNA CONVERSAZIONE SUL BUS


Per arrivare a Stazione di Confine dal centro prendevo due volte a settimana il bus 26. Quel giovedì pomeriggio mi sono trovata nel mezzo di due signore sedute e due uomini in piedi alle mie spalle. Durante quel percorso con l’autobus, tra il traffico e i lavori in corso, c’è tempo di leggere, di chiacchierare, fare politica, ma anche prendersela con gli altri.
“Troppi stranieri sono a Firenze”. “Eh, sì. Fiorentini non ci sono più”. “Io non sono fiorentina, sono francese, ma sono da moltissimi anni a Firenze, e per me cosi non va bene per niente”.
È iniziato cosi la chiacchierata tra le due signore e la signora francese-fiorentina, che era più arrabbiata degli altri.
“In caserma non li tengono neanche una notte, se fanno qualcosa. Per i nostri ragazzi la fanno lunga se li beccano a fumare uno spinello mentre loro fanno di tutto”. “Si, hai ragione -interviene uno degli uomini alle mie spalle- e chi paga alla fine, siamo sempre noi”. “Ho un banco al mercato -si butta il secondo uomo- e intorno ho solo stranieri. Non riesco a capire tutto questo”.
Il mio aspetto non gli fa capire che sono straniera anche io e così parlavano “tranquilli” dicendo di tutto su questi ‘stranieri’. Io sentivo. Volevo tanto parlare, ma non mi piacciono le discussioni in pubblico, su questo argomento in particolar modo. Con me stessa dicevo: “Nessuno di questi può capire perché siamo qui. Nessuno di questi può capire quanto è difficile lasciare la tua terra, la tua casa. E non solo. Molti di noi hanno lasciato di più. Hanno lasciato i loro sogni, la loro gioventù, una parte della loro vita”.
E mi domandavo: “Sarà mai possibile cambiare la mentalità della gente su di noi?!”


LE NUOVE IMMIGRAZIONI: CERVELLI IN FUGA


La parola immigrazione esiste dai tempi dei tempi…Ci viene in mente la storia. La storia passata e quella recente. Le navi strapiene di persone con la voglia di attraversare mari e oceani e arrivare alla meta: il sogno di una vita migliore.
Con i tempi moderni e con la globalizzazione la parola immigrazione prende una forma e un significato diverso. Non si tratta solo di famiglie che aspettano il ricongiungimento, neanche di quelle ricongiunte che ormai hanno lasciato dietro la fame e la paura e che si sforzano di avere una vita dignitosa per sè e per i figli.
Si tratta di persone con un livello professionale e di istruzione alto, di persone che sono state definite come “cervelli in fuga dalle loro terre”.
La domanda è: chi sono e dove vanno, da dove arrivano e sopratutto perchè lo fanno?
Sono persone già qualificate nel loro campo professionale e dunque non se ne vanno certo di buon grado dal loro paese d'origine, se non costrette (le ragioni sono tante). Quello che loro aspettano dal paese che li accoglie è che quest’ultimo gli possa offrire pari opportunità e pari possibilità di mettersi alla prova.
A questo proposito, ci sono nazioni e governi che stanno promuovendo una politica sociale che favorisce questo “arrivo dei cervelli in fuga”, facendo così anche il loro stesso interesse. E l’Italia? Non sarà il momento di pensare ad una politica legislativa e sociale differente, indirizzata a questo tipo d’immigrazione?

Per la redazione multiculturale “Citizen Journalism” Ghissu, Lejda, Kassamba

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Marzo 2007



Redazione Multiculturale


L’IMPORTANZA DI UN GIORNALISMO
NON PROFESSIONALE


Il giornalismo ormai non è più un monopolio esclusivo dei professionisti, spesso legati alla proprietà da vincoli di dipendenza politica. Il giornalismo civico o partecipativo ha coinvolto tutti.
Il giornalismo cittadino tenta di creare una reale comunicazione tra vita pubblica attiva del cittadino e l’istituzione, condivide le proprie informazioni e osservazioni, commenta dal suo punto di vista e riporta quello che incontra nel quotidiano. Possiamo costruire cosi un’idea sulla democrazia nell’informazione.
La società italiana è in cambiamento continuo per quanto riguarda la sua composizione demografica. Secondo il XII Rapporto sulla Migrazione della Fondazione ISMU, gli stranieri, irregolari compresi, sono a quota quattro milioni. Questo numero rappresenta quasi il 7% della popolazione. In Toscana, gli stranieri (irregolari non compresi) raggiungono la quota dell’8,7% della popolazione residente. Una presenza che fa parte nella quotidianità del territorio, una realtà che ha bisogno di comunicare e di essere informata.
Più di 29 testate giornalistiche gestite da immigranti, 46 gestite da italiani con diretto coinvolgimento di immigranti. In 16 lingue, su carta o web, informazioni di servizio. Decine e decine di programmi radiofonici multilingue e molti altri numeri. Questo è il panorama che si presenta da un rapporto annuale dell’Osservatorio permanente sui Media Multiculturali.
Far sentire questa voce è uno strumento che apre un nuovo mondo al giornalismo, il mondo delle esigenze e delle idee dei nuovi cittadini. Sarà importante che questo spazio di libertà di opinione promuova la diversità come conoscenza e ricchezza. Sarà importante che promuova la diversità come interazione, non solo a riguardo del binomio autoctono-immigrato, ma anche del rapporto immigrato-immigrato.
Cosi, l’esclusione sociale lascerà posto all’integrazione e l’assimilazione all’interazione culturale.

POPOLI E PERSONE INVISIBILI


In occasione dell’evento “Africa in marcia”, svoltosi lo scorso novembre nell’Aula Magna dell’Università di Firenze, il professor Diabatè parlava di due categorie di popoli: ‘visibili’ e ‘invisibili’. Parlava di un’intera nazione che può diventare invisibile a tutte le altre. Anche all’interno della società può succedere che le cose vadano nello stesso modo. C’è chi fa di tutto per essere al centro d’attenzione, sfruttando strumenti tradizionali (bellezza, denaro) oppure delle tecniche ben più rudi, come quella di usare delle parole specifiche per sminuire ed offendere le persone. Parole usate come gioco dai compagni di classe “guardati sembri un’albanese…e tu negro, …sembri un marocchino”.
Ma la cosa sconcertante è che nonostante il disaccordo con questo tipo di linguaggio, manca il coraggio di contraddire, oppure c’è la paura di essere esclusi. In fondo, quella gente di cui ci si prende gioco forse appartiene proprio a quei popoli che il professore chiamava “invisibili”…

Per la redazione multiculturale “Citizen Journalism” Lejda, Ghissu, Kassamba

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Aprile 2007